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La female man tra femminismo e postmoderno: l'Introduzione di Oriana Palusci

The Female Man fu pubblicato nel 1975, direttamente in edizione economica, dalla Bantam Books di New York.. 



Questo grazie alle sollecitazioni dello scrittore di fantascienza Frederik Pohl, dopo un vano pellegrinaggio di due anni sulla scrivania di editori che non sapevano come collocare un romanzo così provocatorio. 


Ritorno a Whileaway: introduzione di Oriana Palusci a La female man, edizione Oscar Mondadori 2024 


Le più di centomila copie vendute in pochi mesi, dimostrano che, almeno negli Stati Uniti, i tempi erano maturi per la ricezione di un testo privo di sviluppo lineare e volutamente disomogeneo, esplicitamente collocato all’interno di un genere narrativo considerato in passato immaturo e periferico come la science fiction. Ma il quadro culturale stava cambiando rapidamente. L’avvento della cultura postmoderna erodeva le barriere consolidate che separavano prodotti letterari “di qualità” dalle opere destinate al consumo e all’intrattenimento. Nel 1969 erano usciti due romanzi significativi: La mano sinistra del buio (The Left Hand of Darkness) di Ursula K. Le Guin, e Mattatoio n. 5 (Slaughterhouse-5) di Kurt Vonnegut Jr. 

Mentre Le Guin immaginava un pianeta alieno, abitato da ermafroditi che cambiano sesso a intervalli regolari, che viene visitato dall’emissario di una lega interplanetaria eterosessuale, Vonnegut collocava le vicende del suo antieroe, Billy Pilgrim, su due piani narrativi: da una parte quello realistico (Billy combatte in Europa durante l’ultima guerra mondiale e conduce una tranquilla esistenza quotidiana nell’America postbellica), dall’altra quello fantascientifico (Billy viene rapito e portato sul pianeta Tralfamadore da un popolo alieno che ha poteri divini).


La coscienza femminista di Joanna Russ mette d’accordo una visione innovativa della scrittura e della fantascienza. Nata nel 1937 nel Bronx di New York in una famiglia di origine ebraica, esordisce nel 1959, quindi pubblica in varie riviste e antologie di fantascienza racconti incentrati sulla figura di una guerriera, Alyx, dichiarando: «Molto prima di diventare femminista in modo esplicito, avevo smesso di scrivere storie d’amore tra uomini e donne in cui le donne erano perdenti e gli uomini finivano vincitori, e mi ero dedicata a racconti d’avventura in cui la donna risultava vincitrice. È stata una delle cose più difficili che abbia mai fatto in vita mia». 

Per capire dove Russ vuole arrivare, basta leggere Bluestocking, il primo racconto in cui compare Alyx, uscito nel 1967. Due donne in fuga da una civiltà maschilista, Alyx e la sua protetta Edarra – l’una matura e formidabile guerriera, l’altra diciassettenne inesperta ma desiderosa di imparare –, rappresentano fasi diverse della femminilità. Anche se Russ non sviluppa fino in fondo il motivo lesbico, che le avrebbe probabilmente reso impossibile la pubblicazione, l’indagine sulle diverse opzioni che la donna ha davanti, e sulle immagini di sé che proietta all’esterno, è già iniziata. Ed è in quegli anni che dà il via alla lunga e sofferta gestazione del romanzo.


In un decennio segnato da una forte presa di coscienza femminista, La female man tenta di orientare uno spazio narrativo finalmente accolto nella cultura americana senza eccessivi pregiudizi verso un discorso radicale sulla condizione della donna e sulla sua ricerca di una visibilità sociale fino ad allora negata. Va infatti ricordato che l’ondata di critica femminista a cavallo tra gli anni ’60-70 del Novecento ha investito, nei paesi di lingua inglese, i più svariati settori della conoscenza, innescando un processo di riflessione e di revisione non solo in campo letterario. Tra le opere che danno inizio al fenomeno femminista, L’eunuco femmina (1970) dell’australiana Germaine Greer – che rivisita la sfera dell’immaginario nella prospettiva dei miti delle donne – prepara il terreno a Russ e sembra suggerire il titolo del suo romanzo, anche se La female man rappresenta una risposta molto più viscerale e aggressiva alla politica dell’esperienza femminile. In un certo senso, Russ anticipa le teorie su gender e performativity sviluppate in seguito da Judith Butler in Questioni di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità (1990).


Per quanto riguarda la fantascienza, anche prima degli anni ’60 e ’70 era esistita una narrativa di tutto rispetto scritta da donne. Si pensi alle opere di Catherine Lucille Moore, Leigh Brackett o Judith Merril. In particolare, Moore aveva creato già negli anni ’30 il personaggio della spadaccina Jirel di Joiry, innovando il sottogenere dell’heroic fantasy. Tuttavia la fantascienza delle donne era stata di solito subordinata alla prevalenza di tematiche incentrate su personaggi maschili: lo scienziato, l’astronauta, l’esploratore di nuovi mondi, spesso armato fino ai denti. Anche a livello editoriale, gli uomini la facevano da padroni. Perfino Judith Merril, narratrice e teorica di grande intuizione, era stata messa in ombra negli anni ’50 dalla personalità di Frederik Pohl e da quella di C.M. Kornbluth. Con quest’ultimo avrebbe firmato due romanzi sotto lo pseudonimo di Cyril Judd. Soltanto con l’affermazione di Ursula Le Guin la fantascienza delle donne troverà sia una romanziera di successo sia una voce autorevole a livello critico, capace di indicare, attraverso la felice formula «linguaggio della notte», un percorso a metà strada tra fantasy e science fiction adatto a rappresentare l’immaginario femminile. Però Le Guin è ancora una mediatrice, attenta a rielaborare diverse forme tradizionali, mentre Russ, più giovane di otto anni, usa la fantascienza in modo decisamente più provocatorio e sperimentale, accentuando il carattere eversivo della scrittura fino a prendere le distanze da Le Guin, che considera troppo moderata. Mentre riconosce di essere stata influenzata da La mano sinistra del buio, Russ ritiene I reietti dell’altro pianeta (The Dispossessed, 1974) un’opera debole e ideologicamente confusa. Durante diverse della femminilità. Anche se Russ non sviluppa fino in fondo il motivo lesbico, che le avrebbe probabilmente reso impossibile la pubblicazione, l’indagine sulle diverse opzioni che la donna ha davanti, e sulle immagini di sé che proietta all’esterno, è già iniziata. Ed è in quegli anni che dà il via alla lunga e sofferta gestazione del romanzo.


Durante il dibattito epistolare “Women in Science Fiction”, pubblicato nel novembre 1975 sulla fanzine «Khatru», l’antipatia tra le due prime donne è evidente. Significativo è l’appoggio che dà a Russ un altro autore sovversivo, Samuel R. Delany (nero e omosessuale). Tra l’altro, sempre nel 1975, Delany ha pubblicato Dhalgren, un’altra opera lontana dai canoni della tradizione fantascientifica, con il suo ritmo volutamente spezzato e caotico. All’iniziativa partecipa anche James Tiptree Jr, con cui Russ polemizza, non sapendo che in realtà è una donna. Solo un paio di anni dopo si saprà che «James Tiptree» è lo pseudonimo di Alice Sheldon. Da quel momento il rapporto tra le due scrittrici migliorerà.


L’atteggiamento ostile nei confronti della tradizione fantascientifica non vuol dire che Russ non si ricolleghi alla fioritura delle utopie femminili che accompagnano il romanzo americano tra fine Ottocento e inizio Novecento, e che esprime opere importanti come Mizora (1880) di Mary E. Bradley Lane o Herland (1915) di Charlotte Perkins Gilman, in cui regna un matriarcato. Nella mia introduzione al libro di Mary Griffith, America 2135. Trecento anni nel futuro (Three Hundred Years Hence) che, pubblicato nel 1836, è la prima utopia americana dopo la Guerra d’indipendenza, ho precisato come le donne abbiano fornito un contributo vitale allo sviluppo di un genere che nel Novecento avrebbe conosciuto numerose varianti distopiche e sarebbe confluito nella science fiction più consapevole.


L’orizzonte intellettuale di Russ è vasto, fondato su una formazione di prim’ordine, che non ha nulla da invidiare a quella di Le Guin, figlia dell’antropologo Alfred Kroeber. Presso la Cornell University, Russ ha avuto come docente Vladimir Nabokov, l’autore di Lolita, e negli anni ’80 insegnerà letteratura inglese presso l’Università di Washington a Seattle. Così si spiegano i riferimenti rintracciabili in La female man, che vanno dalla Bibbia al Beowulf e risalgono fino alla letteratura inglese del Settecento e dell’Ottocento, come anche i richiami alle teoriche del femminismo. Lo stesso titolo del romanzo potrebbe essere una citazione dal quarto capitolo dell’ultima parte dei Viaggi di Gulliver (1726) – modello satirico-fantastico impareggiabile per tutta la fantascienza – quando il protagonista racconta succintamente la sua storia allo Houyhnhnm, il Cavallo Saggio che si è degnato di prenderlo a servizio: «il mio paese era governato da una female man, che chiamavamo Regina». Si tratta di un’allusione ironica alla regina Anna, notoriamente ostile a Swift. 




Non vi è dubbio, comunque, che l’intenzione principale di Russ sia quella di sfidare in modo provocatorio il cliché della fantascienza specializzata di Hugo Gernsback e dei suoi successori, che riconoscevano un ruolo al personaggio femminile solo come proiezione delle fantasie dei lettori: l’astronauta svestita, l’aliena seduttrice, la bella terrestre terrorizzata (e affascinata) dal mostro extraterrestre, di cui mi sono occupata molti anni fa curando l’antologia Aliene, amazzoni, astronaute (1990). In quel volume è incluso il racconto di Russ Quando cambiò (When it Changed), in cui fa la sua prima comparsa il pianeta alieno «Whileaway» che ritroviamo in La female man, abitato da una comunità di donne felici, essendo gli uomini scomparsi da otto secoli a causa di un’epidemia. L’arrivo di un gruppo di uomini provenienti dalla Terra mette in discussione l’utopia femminile, anche se appare chiaro che le donne di Whileaway sono in grado di difendersi. Inoltre, a differenza di Herland, da cui è forse influenzato, Quando cambiò conserva il punto di vista dei personaggi femminili, dando uno scarso rilievo alla presenza maschile. Apparsa in Again, Dangerous Visions, a cura di Harlan Ellison, nel 1972, la prima utopia femminista e lesbica di Russ scandalizza non pochi lettori. Comunque è in buona compagnia: nello stesso volume ci sono racconti di scrittrici come Ursula Le Guin, Kate Wilhelm e James Tiptree Jr.


In La female man Russ compie una vera e propria invasione dello spazio formulaico della fantascienza. Quando Janet Evason, l’emissaria dell’utopia femminile di Whileaway, piomba alla scrivania di un ufficio militare di New York, attua metaforicamente un’operazione altrettanto carica di conseguenze della comparsa minacciosa dei marziani di H.G. Wells in La guerra dei mondi (War of the Worlds, 1898) a ovest di Londra. E in verità la female man di Russ, un composito collage di creature femminili, è certamente altrettanto inquietante e aliena dei marziani di Wells. Il titolo del romanzo – La female man – genera già un monstrum linguistico in grado di mettere in discussione la percezione del mondo contemporaneo. Il segno ambiguo di un essere che incorpora le caratteristiche di entrambi i sessi predispone noi fruitrici o fruitori del testo a una ricerca attiva, al fine di ricostruire le identità di questa strana creatura.


Il campo della letteratura non è certo privo di esseri androgeni o dall’identità sessuale fluida. Russ attinge a modelli ben precisi della scrittura femminile. Orlando, il protagonista dell’omonimo romanzo di Virginia Woolf, pubblicato nel 1928, a metà della narrazione si sveglia con il corpo di una donna: «lui era una donna». Nella sua fantasia femminista, Woolf rivisita l’antico mito dell’ermafrodito inventando una lei/lui che percepisce il reale attraverso un’ottica duplice, una doppia visione che ingloba l’immaginario maschile e quello femminile. Il discorso sull’androginia viene ripreso con molta efficacia, come ho già accennato, in La mano sinistra del buio di Le Guin. Tuttavia va notato che l’unione tra il maschile e il femminile operata a livello ideologico e sociale da Woolf, o all’interno di uno scenario genetico avveniristico da Le Guin, è pur sempre correlata alla dimensione esistenziale del personaggio maschile: Orlando è prima un uomo e poi si trasforma in una donna; così come in La mano sinistra del buio l’inviato della Terra sul pianeta alieno è un individuo di sesso maschile, che impara a comprendere e perfino ad amare l’apparente ambiguità sessuale degli abitanti di Winter.


La female man di Russ non è una creatura geneticamente androgina, non è un personaggio definito che subisce una metamorfosi. È una figura sfuggente, elusiva, molteplice, composta di frammenti di scritture diverse, di codici linguistici che vanno dall’autobiografismo di Joanna alla dimensione utopica di Whileaway. Avvalendosi della sua esperienza di studiosa delle problematiche di gender (su cui ha scritto numerosi saggi) e della sua conoscenza della science fiction, Russ non crea un personaggio androgino ma, aggiungendo il paradossale female al sostantivo man, smantella i luoghi comuni e gli stereotipi che popolano la mente dell’uomo e della donna nei rapporti tra i due sessi. Teresa de Lauretis, una delle prime studiose a occuparsi di immaginario scientifico e gender, ha precisato già nel 1979 che La female man è incentrato su quei «processi ideologici che attraverso il linguaggio e le altre forme di rappresentazione operano nell’immaginario e nelle istituzioni sociali, come pure nell’inconscio individuale, a definire il soggetto e a fissarne l’identità nei termini di donna e di uomo».


Ovviamente non esiste neppure una sequenza narrativa lineare e cronologica: La female man è un romanzo postmoderno, in cui mille schegge di linguaggio costituiscono nel loro insieme l’ossatura-trama della narrazione. Si può parlare della creazione di un multiverso, termine che, direttamente o indirettamente, circolava nella fantascienza. Su questo espediente narrativo si sofferma Gwyneth Jones – a sua volta scrittrice di fantascienza e autrice della biografia Joanna Russ (2019) – nell’introduzione all’edizione SF Masterworks di The Female Man (2010). Il viaggio in universi paralleli viene effettuato da quattro personaggi femminili che prendono parte all’azione senza un ordine apparente o un criterio preciso: Joanna e i suoi alter ego entrano ed escono di scena passando da un piano narrativo all’altro. Ognuna delle figure, il cui nome inizia con la lettera J – Janet, Jeannine, Joanna, Jael – proviene da un’America dalle coordinate temporali diverse, da un mondo “probabile” scandito dalla condizione socioculturale delle protagoniste. E, a proposito di questa proliferazione di J, che inizia con il nome di Janet, non può non venire in mente a lei che si è occupata della tradizione del romanzo inglese, il personaggio di Jane Eyre, l’eroina ottocentesca di Charlotte Brontë, che apre la strada all’emancipazione femminile nel soffocante mondo vittoriano.


Per tornare al romanzo, la lettrice/lettore si trova ad affrontare una massa di dati e di avvenimenti, spesso comunicati sotto forma di dialogo, che vanno districati seguendo un percorso tortuoso, con continui e bruschi passaggi da un linguaggio all’altro, da una storia all’altra, da un mondo all’altro. Alla fruitrice/fruitore della fantascienza postmoderna vengono chieste una partecipazione attiva e una costante messa a fuoco delle immagini proiettate e discusse da ognuna delle eroine nella sua interazione con gli altri personaggi. Tuttavia la struttura frammentata è tenuta insieme dal discorso sui ruoli, sulle ambiguità sessuali e sull’identità di genere che forma l’impalcatura del romanzo.


Una presentazione schematica delle quattro “guide” nell’ordine di apparizione può essere di qualche aiuto.


«Janet Evason» è un’abitante del pianeta Whileaway, dove gli uomini sono stati tutti sterminati da un’epidemia secoli addietro. Whileaway è un universo parallelo, un’utopia di donne autosufficienti, guardate talvolta con una certa ironia. Janet è una sorta di poliziotta inviata nella Manhattan del «nostro mondo» dove diventa subito fonte di curiosità e un’attrazione per i «media».


«Jeannine Dadier» è una figura insignificante, che vive nella New York del 1969; ha ventinove anni e lavora come bibliotecaria, è una donna tradizionale, docile e sottomessa, che ha un unico scopo nella vita: sposarsi. La prospettiva di Jeannine, interprete di stereotipi femminili che sembrano usciti da un film degli anni ’30, è messa continuamente in opposizione a quella dell’emancipata e spregiudicata Janet.


«Joanna» è la scrittrice che diventa personaggio e inserisce la realtà delle sue esperienze biografiche e dell’America degli anni ’70 dentro il tessuto narrativo. Talvolta stabilisce un contatto diretto con le altre figure femminili, talvolta s’impone come la voce autoriale che racconta e commenta, talvolta si trasforma in una presenza invisibile che osserva da vicino le esperienze intime altrui. È Joanna che spesso si introduce provocatoriamente nelle vicende e ricopre il ruolo dell’ibrido mostruoso della female man, ovvero si comporta da scrittrice di fantascienza.


«Jael Reasoner» è la combattente di una Terra del futuro dove da quarant’anni è in corso una vera e propria guerra tra i sessi. Lavora presso l’«Ufficio di Etnologia Comparata» ed è una specialista, come lei stessa afferma, di travestimenti. Sarà Jael, nell’ultima parte del romanzo, a chiamare a sé le altre tre donne, facendo notare che non sono poi così diverse, ma incarnano genotipi identici di universi possibili: «Guardate i vostri volti. Quello che vedete è essenzialmente lo stesso genotipo, modificato dall’età, dalle circostanze, dall’educazione, dalla dieta, dall’apprendimento, e sa Dio da cosa».


Il romanzo è suddiviso in nove parti, ognuna delle quali contiene capitoli di lunghezza variabile. Non a caso, La female man inizia con la presentazione di Janet, l’abitante della terra senza uomini, un matriarcato (Janet ha due madri) di donne longeve, combattive e lesbiche. Janet ha una figlia (Yuriko Janetson) e una moglie (Vittoria). Come in altre utopie letterarie, Whileaway è una comunità agricola, ma nel contempo è tecnologicamente avanzata, anche se la sua tecnologia non viene né deificata né demonizzata, piuttosto aiuta a sviluppare le potenzialità delle abitanti, che si servono dell’ingegneria genetica per aumentare la loro intelligenza. Del resto, a Whileaway non vi è alcun pericolo che le macchine prendano il sopravvento sulla componente umana, ovvero femminile. L’uso del casco a induzione, un dispositivo cibernetico che trasmette le onde cerebrali, permette di attivare il controllo di macchinari complessi e pesanti senza bisogno di sforzo fisico.


La scelta di Russ di cominciare il romanzo con il mondo felice di Whileaway pone a chi legge una serie di interrogativi. Whileaway è il concreto punto d’arrivo di un percorso di genere, solo un sogno o un luogo molto difficile da trovare che non risulta sulle mappe? Fatto sta che le descrizioni di Whileaway sono inserite soprattutto nella prima parte del romanzo, per poi man mano svanire, mentre acquistano risalto sempre maggiore le osservazioni di Janet di fronte alle “stranezze” dei mondi che visita. Forse Janet ha il compito di stimolare e nutrire sia Jeannine che Joanna, come tutte le lettrici del romanzo?


In realtà, sebbene attraverso frammenti sparsi nel testo scopriamo l’organizzazione sociale di Whileaway, i suoi elementi distintivi, la sua storia, i procedimenti attinenti alla procreazione e all’istruzione delle bambine, gli episodi principali riguardano da una parte le reazioni dell’aliena Janet in un mondo rigidamente eterosessuale e patriarcale, e dall’altra le delusioni di Jeannine nei suoi rapporti quotidiani. Le due storie parallele vengono cucite insieme e intervallate dalla descrizione di una festa tenuta nel tempo di Joanna. La storia piatta e banalmente sentimentale di Jeannine, del suo gatto e del suo fidanzato, ripropone il modello della donna subalterna, priva di iniziativa, indecisa e conformista. Nello stesso tempo si possono seguire le avventure di Janet, «aliena» in quanto inviata di una cultura che si è liberata dalla presenza maschile: «Amo mia figlia, amo la mia famiglia (siamo in diciannove), e amo mia moglie (Vittoria). Ho combattuto quattro duelli. E per quattro volte ho ucciso».


Molto spazio viene dedicato al legame tra Janet e Laura Rose (o «Laur»), una ragazza alla ricerca della sua identità che riesce a esprimere se stessa grazie al rapporto lesbico con la donna del futuro. La parte finale del romanzo, diversamente dall’incipit in cui si delinea l’utopia di Whileaway, è affidata all’incarnazione più aggressiva della scrittrice: Jeannine, Janet e Joanna si ritrovano nell’universo di Jael, che indica loro, su un’ipotetica mappa, l’assurda e cruenta battaglia in corso fra la «Terradilui», un mondo maschile barbarico e primitivo abitato da forti guerrieri senza cervello e veri e propri eunuchi, e la «Terradilei», descritta dalla spregiudicata ed esperta Jael, che poi si esibisce davanti alle sue ospiti in un accoppiamento violento e animalesco con il bellissimo Dave, che si scopre essere una macchina.


Nel romanzo Russ sviluppa un atteggiamento militante e polemico, con espliciti riferimenti al lesbismo e all’erotismo delle donne, di cui denuncia subalternità e debolezze. La possibilità che la donna trovi una sua identità attraverso l’eliminazione pacifica dell’uomo è forse un sogno. La citazione iniziale da La politica dell’esperienza (1967) dello psichiatra radicale R.D. Laing, assai noto all’epoca per i suoi studi sul rapporto tra schizofrenia e vita familiare, è una conferma della volontà di Russ di ridefinire il concetto di alienazione, della mistificazione dell’esperienza in una società regolata dal principio della competizione e dalla supremazia del maschio. Anche la donna è parte dello stesso processo di alienazione, tanto è vero che La female man può essere letto come un discorso terapeutico sulla difficoltà, sull’impossibilità della donna di costituirsi come soggetto unico, protagonista coerente di una herstory, una storia di lei.


Il romanzo potrebbe essere scomposto in una miriade di microepisodi sulla vita quotidiana di alcune protagoniste femminili, sparpagliate dalla scrittrice Joanna che «vive tra i mondi». I microepisodi ribadiscono la precarietà della condizione sociale, psicologica e fisica della donna, creatura manipolata e modificata nel passaggio da un universo all’altro, sempre sostanzialmente vittima di immagini stereotipate, proiettate su «Ognidonna» dal sistema capitalistico e patriarcale in cui è inserita. Le storie si mescolano sovrapponendo le persone l’una all’altra, in quanto aspetti diversi della coscienza della stessa scrittrice, che si sdoppia e si triplica secondo un immaginario alimentato dai meccanismi narrativi della fantascienza. Se La female man rinuncia alla scorrevolezza e alla carica avventurosa di altri testi di fantascienza è perché vuole ricostruire un accidentato viaggio interiore che va dall’autobiografia all’utopia delle donne, fino alla visione distopica delle ultime parti, entro cui Russ inserisce esplicitamente i suoi “doppi” fantastici, secondo un procedimento di decostruzione ironico e demistificante del linguaggio narrativo che è proprio della cultura postmoderna. La fantascienza diventa veicolo di un femminismo radicale, che tuttavia non disconosce la relatività del linguaggio, e che accosta alla satira antimaschilista (si veda la lunga scena della festa) momenti autoironici e comici, soprattutto nelle sezioni ambientate a Whileaway o nell’universo di Jael. La struttura dell’ambigua utopia fantascientifica, la convenzione degli universi paralleli, il viaggio nel tempo si saldano con una impostazione polemicamente autoriflessiva, che esplode negli ultimi capitoli.


Il linguaggio, spesso gergale, non facile da rendere in italiano, si scompone in una sequenza di scene dominate dalla logica della polemica e della protesta, tende a una esasperata reiterazione di espressioni colloquiali, all’invettiva, alla parodia di situazioni ridicole, dove viene smascherato l’atteggiamento maschilista, dell’uomo come della donna sottomessa. Il ruolo dei quattro personaggi femminili viene definito dal loro linguaggio. Jeannine ricorre a un idioma piatto e banale, sentimentale e sdolcinato, formato da frasi brevi, spesso interrogative o dubitative, da spezzoni di slogan pubblicitari che ribadiscono la sua timidezza e la sua ipocrisia. Janet si esprime con un eloquio concreto e spigliato, disinibito, schietto e franco, privo di giri di parole, di doppi sensi o di compromessi. Infatti quando compare sulla Terra le sue prime, sconcertanti parole sono: «Piacere. Devo spiegare la mia improvvisa apparizione. Provengo da un altro tempo». Jael usa il linguaggio dell’aggressività, della rabbia: un idioma graffiante, spregiudicato e arrogante, sboccato e volgare, ma molto incisivo, come i suoi artigli mostruosi. Joanna, invece, ha il tono e gli atteggiamenti scandalizzati del perbenismo borghese, ma nello stesso tempo vive le vicende con un distacco ironico, talvolta satirico, con il sogghigno di Medusa, che osserva cliché e stereotipi di un pietrificato immaginario femminile. A sua volta Russ sovrintende all’intero processo narrativo con un linguaggio fluido, che ricorda il flusso mestruale, come negazione di una testualità rigida, regolata e incanalata dai principi del patriarcato fatti propri dalla fantascienza tradizionale.


Una simile lettura di La female man non ribadisce a sufficienza la vena comica della scrittrice, alias female man, che per scrivere il suo romanzo di fantascienza si sente costretta a indossare una maschera ambigua, rinunciando alle convenzioni di una femminilità ancora seducente, ma ridicolizzata nel ruolo di Jeannine: «Non sono una donna; sono un uomo. Sono un uomo con la faccia di donna. Sono una donna con la mente di un uomo». Ma il mascheramento fa parte di un gioco, e il gioco ha sempre aspetti comici o grotteschi. La risata della female man pervade l’azione sia a livello tematico che strutturale, e trasforma ogni questione importante (per esempio quella dell’emancipazione femminile) in un discorso autoironico. Basti pensare ai commenti corali delle quattro J, alle litanie satiriche nella compilazione di massime fallocentriche, ai dialoghi allegorici che denigrano l’operato femminile. La carica ironica permette alla lettrice/lettore di distanziarsi dai pregiudizi della società patriarcale, di ridicolizzare i suoi eroi, i suoi he-men, e di riconoscere il vuoto dei loro valori. Il femminismo, dunque, viene filtrato da Russ attraverso il registro parodico, con uno smontaggio beffardo e giocoso dei luoghi comuni del linguaggio quotidiano, che ingabbia la donna nei suoi ruoli convenzionali. La parodia diviene in La female man una forza sovversiva, una energia capace di sgonfiare la prepotenza dell’ordine linguistico dei padri. Lo humour noir della female man colpisce l’integrata Jeannine, incerta e docile fanciullona che sogna a occhi aperti un innocuo principe azzurro; si burla di Janet, l’inviata di Whileaway, che viene sacrificata dalle compagne per il suo basso quoziente intellettivo, un’aliena che tiene un mazzo di fiori alla rovescia, che non conosce i tabù sessuali della «nostra Terra»; non esclude la odiatrice di uomini Jael, che è presentata come una buffa e oscena combinazione tra la sgualdrina e l’arpia; infine non risparmia Joanna stessa, la guardona, che si nasconde dietro le altre J perché ancora ligia alla morale comune.


Giocando con le formule della tradizione utopico-distopico-fantascientifica e con i temi scottanti della questione femminile, Russ sottolinea le distorsioni della comunicazione tra i sessi, riassunti nel libriccino di comportamenti codificati per lui e per lei, di cui si parla nella scena della festa. La scrittrice americana è alla ricerca di un nuovo modo di comunicare, emblematicamente rappresentato dal gioco del «ripiglino», il cat’s cradle (già usato da Vonnegut come titolo di un suo romanzo apocalittico, in italiano Ghiaccio-nove), il gioco a due, con una cordicella legata alle estremità: ciascuno deve avvolgerla intorno alle dita, in modo da dar luogo a forme sempre nuove. Quando compare sulla ipotetica Terra del 1969, Janet estrae una cordicella, non un’arma (come i raggi della morte marziani) e comincia a giocare in segno di pace. Questo è il messaggio pacifico del “mostro” donna, più difficile da comprendere di un gesto bellicoso. Attraverso gli incontri della donna di un possibile futuro nei diversi universi paralleli noti alla lettrice/lettore, Russ indica come sia facile fraintendere le esperienze a seconda delle aspettative culturali. Per la dolce e vuota Jeannine, nella logica piccolo borghese di una creatura integrata nel sistema, il pianeta delle donne si trasforma in un gioco di parole, nella decostruzione del nome del mondo utopico: «While-away. While. A. Way. Letteralmente: passare piacevolmente il tempo». D’altronde la Janet di Whileaway porta con sé il sogno utopico di un mondo liberato dagli uomini, difficile da rintracciare sulla mappa dell’immaginario della fantascienza per la sua esplicita valenza lesbica. Nell’Eden ecologico di Whileaway, sono state abolite da secoli una serie di parole come “egli” e “uomo”. Janet è la creazione narrativa che consente all’io della scrittrice di liberarsi da tabù e da paure, di rappresentare la propria condizione lesbica, di sconfiggere l’universo parallelo di Jeannine, in cui la presunta utopia della Storia (non c’è stata la devastazione compiuta dalla Seconda guerra mondiale) si è trasformata in una prigione per la donna oggetto.


In conclusione, le guide confluiscono in Joanna: Jeannine guarda dallo specchio di Joanna, Janet diventa l’amante dell’amante di Joanna, Jael è la componente mascolina più rozza e violenta presente in Joanna. E, a proposito di Joanna, e dell’influsso che la narrativa di Russ ha avuto nel romanzo successivo delle donne, come non menzionare la Joanna May della scrittrice inglese Fay Weldon? In Le altre vite di Joanna May (The Cloning of Joanna May, 1989), quattro diverse versioni femminili, generate da un processo di manipolazione genetica, si rintracciano e si alleano per affrontare il genitore comune, uno spregiudicato Frankenstein dei tempi moderni.


La female man rimane, a quasi mezzo secolo dalla sua pubblicazione, un manifesto fondamentale dell’incontro-scontro tra fantascienza e femminismo, tra romanzo postmoderno e cultura di massa, come un tentativo riuscito di allargare i confini della science fiction, che ha ormai abbandonato ogni riserva sul suo essere fiction a pieno titolo. Se i sogni e gli incubi della condizione femminile si sono nel tempo modificati, se, come appare nel recente film live action di Greta Gerwig, Barbie ha imparato a farsi strada nel mondo “reale”, Joanna Russ, che ci ha lasciato nel 2011, insisterebbe sul fatto che il conflitto è aperto ancora oggi, che la guerra dei sessi è ben lontana da una conclusione utopica, e che il romanzo di fantascienza, ricco di spunti immaginativi, continua a favorire una presa di coscienza radicale.


Come aveva ribadito Russ alla Philadelphia Science Fiction Conference nel lontano novembre 1968 parlando di “The He-Man Ethos in Science Fiction”: «Il nostro compito come scrittrici/scrittori di fantascienza non è quello di accettare il lavaggio del cervello per quello che è; dopotutto noi siamo quelle/quelli che si presume siano capaci di vedere oltre i pregiudizi dei nostri schemi culturali». La female man è la sua risposta. 





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L'autrice 



Joanna Russ (New York 1937 - Tucson, Arizona, 2011), docente universitaria nota per l'impegno nel movimento femminista degli anni Settanta, è stata una delle prime scrittrici a portare nella fantascienza la sua visione eversiva del gender

Autrice di numerosi racconti e romanzi, oltre che di molti saggi, nel 1972 ha vinto il premio Nebula per il racconto When It Changed (considerato il prequel di The Female Man). Come si legge nel necrologio apparso sul «New York Times», Russ ha introdotto nella fantascienza, e nella narrativa americana, «le creature più aliene» mai viste: le donne.

Articoli di Miky Rovera

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