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La definizione esatta di Fantascienza secondo l'autore James Gunn

Dalla Postfazione a Urania 1683 "Oltre l'ignoto" ottobre 2020


Le idee per le storie, proprio come gli autori, sono di ogni possibile stazza...

L’idea per Oltre l’ignoto (Transcendental), per esempio, mi è venuta mentre stavo pensando a qualcosa di grande: la definizione stessa di fantascienza. Definire la fantascienza è difficile, perché non è tanto una storia identificata da un’azione, come i gialli, o da un luogo, come i western, quanto da un’attitudine. 

Ecco perché le definizioni sulla fantascienza perlopiù sono indirette, indicando qualcos’altro o usando frasi suggestive, come quella di Brian Aldiss: “La fantascienza è Hybris picchiata dalla Nemesi”.



Le mie preferite sono “la fantascienza è la letteratura delle idee”, “la fantascienza è la letteratura dell’anticipazione” e “la fantascienza è la letteratura della specie umana”. Alla luce di quest’ultima definizione, mi sono ricordato del libro di Cory e Alexei Panshin sulla fantascienza intitolato Il mondo oltre la collina e sottotitolato Fantascienza e la ricerca della trascendenza. La trascendenza, secondo loro, era il tema fondamentale della fantascienza, specialmente dell’età dell’oro di questo genere. È questo che fanno le specie: cambiano, evolvono, trascendono. È per questo che includiamo nel canone della fantascienza anche storie ad ambientazione preistorica, con dinosauri, uomini di Neanderthal e i nostri primitivi antenati. La fantascienza ragiona su come siamo diventati ciò che siamo e in cosa potremmo trasformarci. Qualsiasi storia con queste tematiche può essere considerata fantascienza.

Tuttavia, le grandi idee devono prendere forma nei dettagli quotidiani. Sono riuscito a farlo immaginando una “macchina della trascendenza” che avrebbe garantito direttamente la trascendenza, invece di arrivarci attraverso le normali funzioni dei geni, delle mutazioni e della sopravvivenza del più adatto, oppure, spiritualmente, attraverso la trasformazione dopo la morte.

Ci sono molti modi per sviluppare la nozione di una macchina della trascendenza. Per esempio, avrei potuto introdurla nella società contemporanea, come ho fato con l’immortalità nel mio romanzo Gli immortali, o con l’edonistica applicata, come nel mio romanzo I fabbricanti di felicità. Ma ho deciso di renderla inaccessibile quanto la trascendenza stessa, e ho reso la ricerca della macchina il tema centrale della struttura narrativa di questa storia.

L’esperienza umana ci dà la forma della narrazione, e le storie sono il nostro modo per darle un senso, per cercare di trovarvi un significato.

Il numero di storie che si possono raccontare in merito è limitato soltanto dall’esperienza stessa: la nascita, una crescita felice o infelice, l’incontro con gli altri e il tentativo di comprendere le diversità, i sentimenti di amore, odio, invidia, avidità, ambizione, successo e fallimento, l’idea di cambiare o meno la società, di riprodursi o no, vedere gli altri che muoiono, invecchiare, morire.

Nella fantascienza, Heinlein ha identificato tre tipologie di storie, a parte la storia “gadget”: quella in cui un ragazzo incontra una ragazza, quella del “piccolo sarto”, e quella dell’uomo che impara. Queste forme si mischiano nella maggior parte dei romanzi.

I romanzi, inoltre, hanno solo un certo numero di strutture, per esempio il romanzo romantico, quello picaresco, o di formazione.

Ho scoperto, a metà della mia carriera letteraria, che adottare delle strutture narrative usate dai miei predecessori aiutava molti i miei romanzi e il senso che avevo di essi. Il mio romanzo Kampus, per esempio, è costruito sul modello del Candido di Voltaire, con il suo protagonista ingenuo che si avventura nel mondo per dimostrare la convinzione del suo professore che tuto accada sempre per il meglio perché questo è il migliore dei mondi possibili.

I romanzi sono come metafore. 

Per implicazione, includono il resto del mondo o, nel caso della fantascienza, il resto dell’universo, e la storia, le esperienze e le riflessioni su di esso che chiamiamo letteratura. La ricerca di qualcosa di prezioso ma lontano e forse perfino inesistente, o mistico, ricorda un viaggio o un pellegrinaggio. Una di queste ricerche era quella del Sacro Graal, e la sua promessa di trasformazione spirituale era simile a quella della macchina della trascendenza. Uno dei più noti pellegrinaggi era descritto nei Racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer, e ho deciso di renderlo il modello per la mia storia, perché, come nel caso di Chaucer, sarebbe stata una storia in cui il viaggio stesso, con le limitate opportunità narrative di una nave spaziale, sarebbe stato intervallato da storie, di cui avrebbe fornito l’opportunità, raccontate dai pellegrini stessi. Nel caso di Oltre l’ignoto, però, le storie avrebbero riguardato la trascendenza e perché i singoli pellegrini avessero scelto di imbarcarsi in quel viaggio incerto.

Ho immaginato, quindi, una storia riguardo all’imperativo dell’evoluzione – “adattati o muori!” – e in cui l’ambiente a cui l’umanità, in questo caso espansa fino a includere altri possibili esseri senzienti della galassia, si dovrebbe adattare minaccia la sua sopravvivenza. 

È sopravvissuta già a un pericolo, la Guerra Galattica seguita all’incontro tra gli esseri umani e la Federazione galattica che controllava la galassia da molti cicli lunghi (ho dovuto abbandonare la terminologia umana che dipendeva dalle condizioni di un singolo pianeta in mezzo ad altre migliaia) e ora ne affronta un’altra, un possibile vantaggio di una specie sulle altre, che risulterebbe nella distruzione di chi fosse considerato inferiore (o inadatto), o alla sua inutilità totale in un sistema gerarchico che metterebbe a rischio anche chi è al vertice della gerarchia. Inoltre, tale vantaggio potrebbe anche risultare nella ripresa del conflitto devastante appena fermato con una pace molto precaria.

Le alternative: distruggere la macchina della trascendenza, se esiste, o impedire agli altri di trovarla. 

Ma questo porterebbe a un’altra minaccia di estinzione: la stasi. Le specie senzienti e le civiltà sono come squali. Devono continuare a muoversi o moriranno; se si elimina l’imperativo dell’evoluzione, gli errori sopravvivono e si moltiplicano, finché l’organismo non riesce più a rispondere alla sfida successiva.

Quindi, è in questa crisi che il viaggio comincia, non con una battaglia, ma con le conseguenze di  una  battaglia,  il  conflitto  galattico appena concluso. Comprendete cosa intendo per “metafora”? E ho sempre avvertito che una storia si rafforza, quando può sostituire le conseguenze e le riflessioni sul conflitto con l’azione stessa.

Un altro contesto per un romanzo di genere è il genere stesso. 

Brian Attebery una volta ha scritto che il genere è come un singolo, grande volume, e più hai letto di quel volume, più riesci a capire le frasi individuali che vi sono scritte. Questo è particolarmente vero  per la fantascienza, dove c’è una tradizionale forma di azione e reazione, di affermazione e risposta, e dove, in effetti, gli autori (e i lettori) sono in costante discussione tra loro riguardo ad argomenti grandi e piccoli, sui problemi dell’umanità che affronta le sfide del cambiamento e le modalità in cui una storia viene narrata.

Quindi, i lettori ritroveranno in Oltre l’ignoto echi di tutto il genere. Ciò in parte è l’inevitabile conseguenza di una vita passata tra lettura e scrittura, ma è soprattutto il mio tributo al genere e agli autori che mi hanno preceduto e ispirato. Ed è anche un modo per mantenere il mio interesse nel corso del lungo sforzo per scrivere un romanzo, e la realizzazione della mia stessa visione di narrativa come intreccio con più strati di narrazione, personaggi, luoghi, linguaggio, tematiche e metafore.

La prima di queste riflessioni sul genere mi è venuta in mente mentre scrivevo il capitolo finale di Oltre l’ignoto (ho scritto  il  primo e l’ultimo capitolo, prima di tutto ciò che c’è nel mezzo). 

La scena finale mi ricordava quella del classico di H. Rider Haggard Lei, la storia di una principessa egizia immortale il cui vero nome è Ayesha. Ho letto da qualche parte che “Ayesha” si pronunciava “Asha”, ed è da qui che la mia protagonista femminile ha preso il suo nome.

All’interno del romanzo, ci sono anche tributi a Robert Heinlein, A.E. van Vogt, Hal Clement, Murray Leinster, Samuel R. Delany, Ursula K. Le Guin e molti altri...

Non è necessario per leggere questo romanzo, ma se siete amanti del genere come me, potreste apprezzare la possibilità di riconoscere questi riferimenti nel corso della lettura.

Fanno parte della metafora.

James Gunn




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