I Testamenti di Margaret Atwood: la recensione di Opera Spaziale


C'è un tempo per raccontare il lento calare delle tenebre, quel sonno della ragione che consente a un autoritarismo di scavare nelle nostre menti, acuendo le debolezze, per prendere inesorabilmente il controllo. Poi c'è quel tempo che lentamente crepa i muri, anche quelli più possenti e radicati, facendo tornare la speranza.



Margaret Atwood questo lo sa bene, e dopo averci fatto sprofondare nell'angusta atmosfera di Gilead con Il Racconto dell'Ancella, torna dove tutto è iniziato per riprendere in mano la storia e farci vedere come anche il regime più duro nasconda al suo interno una resisentenza lenta ma decisa, pronta a prendere le redini.


La recensione non contiene spoiler ma alcune anticipazioni erano necessarie per raccontare al meglio il libro. Decidi tu se continuare o meno.


I Testamenti è un diario a tre voci, tutte femminili, tre personaggi cardine dell'universo Atwood: ritroviamo l'oscura Zia Lydia, invecchiata nel fisico ma con una mente tanto lucida da escogitare un perfetto ingranaggio potenzialmente esplosivo, la pia teenager Agnes/Hannah, primogenita di June, allevata e cresciuta con le rigide regole di Gilead e, infine, Nicole, una delle prime bambine strappate al regime dai partigiani di Mayday, che deve affrontare un repentino cambiamento in grado di sovvertire la sua monotona adolescenza.

Fulcro del libro è il mondo delle Zie, dal loro arruolamento (“Pareva la ricetta per un taglio di carne dura: prima batterla, poi marinarla per intenerirla”) alla vita nel fortino monastero, un tempo biblioteva dove “Arrendersi era la nuova normalità, e devo dire che era allettante”. Atwood, tassello dopo tasselo, costruisce con immagini vivide un universo ancora non conosciuto, fatto di sole donne, che al contrario delle mogli, delle Marte e delle ancelle, hanno potere. Un potere che all'apparenza è sordo, che per essere esercitato richiede costanza, flessibilità e abnegazione. 

“Questo facevano le Zie: apprendevano, annotavano, aspettavano. Si servivano delle informazioni per raggiungere scopi che solo loro conoscevano. Le loro armi erano i segreti potenti e inquinanti”



Il manifesto dei Testamenti, a mio avviso, sta in una frase di Agnes/Hannah:  

“Saper leggere e scrivere non dava tutte le risposte. Portava a nuove domande e ad altre ancora” 

Può un'affermazione così apparentemente semplice racchiudere una forza deflagrante? Ebbene sì, è l'esemplificazione del potere della conoscenza. Solo con quella, una buona dose di tenacia e il giusto tempismo, il corso della storia può cambiare la sua rotta.

A voler trovare un difetto all'opera magistralmente scritta da Atwood si dovrebbe analizzare la conslusione del romanzo, senza voler al prurigionoso gusto dello spoiler, in una recensione è impossibile non porre un quesito: l'autrice ha ceduto al gusto di una conclusione rassicurante per il lettore, precedentemente sprofondato nel buio più assoluto, così stranamente vicino ai giorni d'oggi? 

 
Non diremo altro in questo breve articolo ma per quanto mi riguarda l'epilogo poteva essere più strutturato e sfaccettato, al contrario è l'unico neo di un romanzo che ha saputo conquistare lettori e critica, tanto da vincere (a ex aequo con Bernardine Evaristo) il Booker Prize 2019.


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