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DUNE - L'introduzione di Sandro Pergameno all'edizione del cinquantenario

L'Introduzione


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In occasione dei 50 anni dall'uscita di Dune di Frank Herbert (1973 la traduzione italiana curata da Giampaolo Cossato e Sandro Sandrelli per Nord e usata nella ristampa di Sperling & Kupfer nel 1999) Fanucci ha ristampato l'intera saga!

Un'occasione per avere l'edizione digitale, elemento sottovalutato da chi critica le ristampe, o per scoprire un capolavoro assoluto della fantascienza nel caso non l'abbiate mai letto.


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protagonisti: i vermi della sabbia

Un'occasione per chiedere a un grande esperto, Sandro Pergameno, una nuova e ricca introduzione:

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A prima vista, scrivere un romanzo che ha luogo su un altro pianeta può sembrare un compito più facile che comporre, per esempio, un’opera ambientata nella Londra vittoriana del XIX secolo: l’autore del romanzo storico deve documentarsi a fondo per riproporre, senza errori marchiani, costumi e ambientazioni di un’epoca passata ma proprio per questo ben nota a lettori, critici e studiosi. Deve evitare anacronismi, fare in modo che i personaggi dialoghino con i toni e gli idiomi tipici del periodo, e mantenere l’atmosfera di quei tempi. Lo scrittore di fantascienza invece può inventare di sana pianta ambienti e personaggi, mescolare esseri umani e alieni, creare nuovi costumi, religioni, particolarità tecniche e scientifiche senza nessun vincolo o quasi.

Questa tuttavia è una visione superficiale del problema: basta soffermarsi sulle opere più significative composte dagli autori di fantascienza fin dalla nascita del genere – in genere i massimi critici del settore concordano nel ritenere gli inizi del secolo scorso la data cardine, coincidente con le fondamentali opere di Herbert George Wells, vero padre letterario della SF moderna – per rendersi conto subito della difficoltà immensa fronteggiata dagli scrittori del genere.

Fino all’uscita di Dune, nell’ormai lontano 1964, nessun autore di fantascienza era riuscito a realizzare l’impresa compiuta da Frank Herbert, e cioè la creazione, fin nei minimi dettagli, di un ecosistema e di un universo completo e complesso. L’Impero galattico di Asimov con la sua capitale Trantor, megalopoli/pianeta al centro dell’universo civilizzato, non è altro che un’immagine schematica e ampliata su scala cosmica della comunità terrestre dell’epoca, mentre le civiltà extraterrestri immaginate da Alfred Elton Van Vogt e Robert Heinlein nei loro romanzi di incontri/scontri tra uomo e alieni sono solo abbozzate e molto grezze, per non parlare dei simpatici mondi alieni di Clifford Simak, che per sua natura prediligeva la dimensione intimistica e pastorale, quanto mai distante narrativamente parlando dall’impressionante cosmo di Herbert.

La storia di Paul Atreides, figlio del Duca Leto, e del desertico pianeta Dune (o Arrakis, come è chiamato dai suoi abitanti) spicca nell’ambito della letteratura fantascientifica della sua epoca (e anche di quelle successive) per la complessità e compiutezza narrativa. Frank Herbert utilizza infatti con somma maestria i canoni classici di ogni tradizione letteraria e di quella fantasticofantascientifica in particolare, riprendendo alla perfezione strutture come la ‘quest’, il rituale della maturazione giovanile e d’iniziazione all’età adulta, il melodramma e i complotti machiavellici per la conquista del potere.

E tuttavia Dune spicca soprattutto per l’abilità dell’autore nella creazione di un ecosistema fittizio ma reso ‘reale’ attraverso la copiosità dei dettagli rappresentativi, attraverso la minuziosa creazione di un mondo alieno arricchito da una cultura, da tradizioni, istituzioni religiose, usi e costumi accuratamente descritti, da una flora e una fauna, insomma da un’ecologia aliena congruente e affascinante.

Al centro di questo ecosistema si trova poi una delle più fantasiose e indimenticabili creazioni dell’intera fantascienza, quella dei ‘vermi delle sabbie’, giganteschi mostri del deserto che condizionano con la loro esistenza la vita dell’intero universo: da loro viene infatti estratto il melange, la spezia con cui viene creata la potentissima droga che consente ai Navigatori della Gilda Spaziale di far viaggiare le astronavi nel cosmo conosciuto.

Arrakis, il pianeta desertico di proprietà del Duca Leto – con i suoi i vermi della sabbia e le tribù dei Fremen (non è un caso che il nome degli abitatori dei deserti di Arrakis sia una contrazione di Free Men, e cioè Uomini Liberi), attaccati con tenacia a quella che appare come la più precaria delle nicchie ecologiche attraverso una fanatica scrupolosità nella conservazione della pur minima goccia d’acqua, riciclata e raccolta con i migliori strumenti tecnologici, nella consapevolezza che essa rappresenta la vita e il futuro per tutti loro – costituisce probabilmente il più convincente ambiente planetario mai creato da un autore di fantascienza.

C’è un aspetto però che deve essere sottolineato più di altri, un tema innovativo che rende unico questo capolavoro e fondamentale la figura di Frank Herbert nella storia della fantascienza moderna: Dune è la prima opera di fantascienza ecologica in senso stretto, probabilmente il primo romanzo che pone la coscienza dei lettori di fronte alle terribili conseguenze del consumismo estremo imposto dal sistema capitalistico. La storia del deserto di Arrakis, e dei Fremen, che accoglieranno al loro interno il giovane Paul (destinato a divenirne il capo e a guidarli nella rivolta contro le vecchie e rigide gerarchie), è la storia di chi vuole difendere la natura del pianeta, e soprattutto è la visione di un uomo che ha a cuore la sorte della terra in cui vive, e che vedeva già nell’ormai lontano 1960 le tristi conseguenze di un’insensata predazione delle risorse da parte dell’Homo Sapiens. 
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Capolavoro mancato: il DUNE di Jodorowsky

È certo che questa attenzione all’aspetto ecologico ha contribuito non poco al successo enorme di Dune. Quest’opera fu pubblicata infatti proprio in un momento in cui la fantascienza e il mondo intero erano sull’orlo di un cambiamento radicale: la seconda metà degli anni Sessanta avrebbe portato sconvolgimenti radicali sul fronte politico e sociale. Tra le nuove istanze condotte di fronte alla coscienza pubblica un ruolo preminente avrebbero avuto proprio l’aspetto ecologico e il rifiuto del consumismo capitalistico e dello sfruttamento selvaggio delle risorse del pianeta. Quando, agli inizi degli anni Settanta, arrivò la prima crisi energetica, Frank Herbert si ritrovò immediatamente nelle vesti di ‘guru’ del nuovo movimento ambientalista, seguito e adorato dalle masse dei giovani politicamente ed ecologicamente motivati.

Ma non c’è solo l’attenzione ai temi dell’ecologia né il complesso studio scientifico/antropologico a rendere Dune il massimo capolavoro della fantascienza.

Innovativo come nessun romanzo di fantascienza prima della sua uscita, Dune riecheggia, come già accennato en passant, le ‘quest’ dei grandi cicli fantastici (a partire da Il Signore degli Anelli), con l’eroe alla ricerca di un equilibrio su cui possa basarsi il futuro dell’universo conosciuto. La sua maturazione, da giovane inesperto a maestro in grado di gestire immensi poteri mentali (quanto si sarà ispirato George Lucas a Frank Herbert nel suo ciclo di Guerre Stellari?), non è tuttavia dissimile da quella narrata da Robert Heinlein o Alfred E. Van Vogt in celeberrimi classici della fantascienza come Cittadino della galassia o Slan, ma la grandezza di Herbert sta proprio nel mescolare in maniera sapiente e innovativa elementi raccolti a piene mani da generi letterari precedenti.

Non mancano nemmeno tocchi goticheggianti: l’inizio stesso del romanzo rimanda alla tradizione del genere gotico, con la cupa descrizione di castel Caladan, l’antico maniero di pietra dove vive la famiglia del Duca Leto, e l’immediata apparizione, attraverso un passaggio a volta, di una vecchia simile a una strega, con i capelli stravolti e irti come ragnatele e occhi scintillanti come gioielli nel buio.

E tuttavia siamo subito ricondotti ai canoni del genere fantascientifico, perché Herbert ci spiega che la luce strana attraverso cui appare la vecchia non è altro che una banale lampada sospesa in alto. Paul Atreides viene sì educato all’uso di armi simili alle spade di Lancillotto e Artù, ma duella contro automi e indossa uno schermo di forza (anche qui notiamo una probabile influenza sul successivo ciclo cinematografico di George Lucas).

Gli archetipi della fantasy e del romanzo gotico si mescolano qui in maniera precisa e indolore con quelli della tradizione fantascientifica. Se vogliamo però approfondire un attimo la struttura narrativa di Dune e dei suoi seguiti, dobbiamo comprendere le basi su cui si regge una trama complessa e affascinante, e cioè i flussi tattici e strategici dell’universo che ne costituisce il background.

L’universo di Dune è ufficialmente e apertamente ‘feudale’: tutti i pianeti appartengono formalmente all’Imperatore, ma, come ci insegnano aperti richiami alla storia terrestre, il suo potere, pur se assoluto, si basa sulla cooperazione di una serie di strutture che controllano il commercio e i trasporti all’interno dell’Impero.

Ecco quindi i poteri baronali dei ‘grandi elettori’ dell’Impero, i cugini dell’Imperatore che controllano interi pianeti e lo sostengono nei momenti di crisi; duchi e baroni, come gli Atreides da cui discende Paul e i loro acerrimi nemici, gli Harkonnen, del sadico Barone Vladimir.

Collettivamente il loro potere è perfino superiore a quello dell’Imperatore, per cui il principale dovere politico del governatore supremo è proprio quello di fomentare le loro rivalità interne, metterli l’uno contro l’altro, in sostanza applicare la saggia filosofia del divide et impera dei Romani. 
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 Molte le guest star del Dune lynchiano: da Sting all'attore di teatro Patrick Stewart, ormai volto celeberrimo della fantascienza in video. 
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In più l’Imperatore dispone di un altro eccezionale sistema di difesa contro gli attacchi e le trame dei baroni: la guardia pretoriana, costituita dai temibili guerrieri Sardaukar, addestrati e quasi imbattibili nel combattimento individuale.

La struttura imperiale si basa quindi su un equilibrio altamente precario: la stessa efficacia dell’armata privata dell’Impero incoraggia le alleanze che l’Imperatore teme: alleanze tra i duchi e i baroni che compongono il senato dell’Impero, il Landsraad. Il terrore basilare di ogni nobile è proprio quello di trovarsi isolato dagli altri a combattere contro i Sardaukar, e tuttavia le gelosie interne impediscono il nascere di una vera alleanza in grado di ribaltare il potere assoluto.

Come accennavamo prima, la rivalità tra gli Atreides, imparentati con l’Imperatore e di antica nobiltà, e gli Harkonnen, parvenu che hanno raggiunto la nobiltà in base al loro potere commerciale, è totale e basilare nella struttura narrativa del ciclo: la ritroveremo anche in tutti i seguiti e nei vari prequel composti dal figlio di Herbert, Brian, assieme al valido Kevin J. Anderson.

Gli Harkonnen invidiano i nobili Atreides, che invece disprezzano l’avidità e la ricchezza dei mercanti loro rivali. La rivalità di entrambi con l’Imperatore, e il suo timore di entrambi è alla base della storia, sui cui sviluppi non ci soffermeremo ulteriormente.

La struttura di potere feudale è tuttavia anacronistica, perché il potere vero inevitabilmente va verso chi detiene le redini della ricchezza e del commercio. E qui il commercio interstellare è nelle mani di una grande e potentissima corporazione, la CHOAM, e della Gilda dei Navigatori, che controllano la possibilità del viaggio interstellare: il trasporto delle merci da un sistema solare all’altro è alla fin fine il perno su cui si regge l’equilibrio del sistema, e tale perno è gestito dai Navigatori della Gilda, gli unici in grado di guidare le astronavi da un punto all’altro della galassia, attraverso l’uso della ‘prescienza’ loro garantita dal melange, la droga ricavata appunto dai giganteschi vermi della sabbia. La secrezione dei vermi è alla base del melange, e dunque alla base stessa dell’essenza della civiltà e della sicurezza del mondo conosciuto.

E così il circolo si chiude: tutto nasce e ritorna a Dune, che è il pianeta focale per i destini dell’Impero e dell’universo creato da Frank Herbert. Si tratta di un’ecologia chiusa, in equilibrio instabile. L’Impero si basa sul Landsraad, il Landsraad sull’Impero. Entrambi ricavano il loro potere economico dalla CHOAM, che non può funzionare senza la Gilda Spaziale, che a sua volta dipende dalla spezia. E così Frank Herbert ha a sua disposizione tutta la machiavellica struttura dei complotti di potere a cui attingere a piene mani, e non si può non riconoscere che in questo è un vero maestro.

E tuttavia altre strutture di potere contribuiscono alla complessità di questo impareggiabile capolavoro letterario, come i ‘Mentat’, uomini dalle abilità mentali straordinarie, in grado di risolvere problemi di una complessità superiore rispetto a quelli gestiti da supercomputer informatici. E infine abbiamo le Bene Gesserit, un ordine religioso di sole donne, anche loro dotate di abilità immense e particolari, capaci di prevedere e assecondare il futuro... sono mogli, concubine, profetesse che per il loro padronepatronomarito possono rilevare immediatamente le menzogne o il grado di verità delle asserzioni fatte da estranei di poco affidamento.

Le Bene Gesserit hanno inoltre uno scopo particolare, e qui interviene l’elemento religioso che è anch’esso alla base di Dune. A differenza delle altre strutture di potere che abbiamo citato (l’Impero, il Landsraad, la CHOAM, la Gilda Spaziale, i Mentat), le Bene Gesserit non si limitano a giocare un ruolo nella Realpolitik dell’universo di Frank Herbert. Hanno infatti uno scopo egoistico e perseguono da secoli un programma eugenetico a sfondo religioso.

Le reverende madri, unite nella memoria collettiva di tutte le loro progenitrici, hanno intenzione di generare, attraverso accurate selezioni e accoppiamenti, un reverendo padre che possegga la memoria razziale collettiva, sia maschile che femminile, e sia quindi in grado di guidare l’Impero verso un futuro di nuovo splendore.

Così Paul Atreides, che combina in sé queste caratteristiche genetiche, costituisce il fulcro dell’azione delle Bene Gesserit: addestrato a operare con i poteri mentali delle Reverende Madri e con quelli tipicamente maschili dei Mentat, educato poi dai Fremen del deserto a combattere come uno dei migliori guerrieri Sardaukar, e al tempo stesso pretendente legittimo al trono dell’Impero, diventa la figura messianica che farà da perno alla pressione dei Fremen di Arrakis per la libertà e li condurrà all’indipendenza.

Paul Atreides è dunque un Cristo, una figura umana e al contempo divina. Ciò che lo contraddistingue è e rimane appunto la sua umanità, perché, pur nel suo desiderio di controllare le forze che lo circondano e che tentano di avvincerlo nei loro grovigli, Paul rimane sempre più vittima che dominatore di questo complesso sistema di strutture, e soprattutto non rinuncia, nemmeno nei momenti finali e cruciali della sua esistenza, a una propria umanità.

Romanzo complesso e maturo, Dune riecheggia dunque stilemi e strutture letterarie dell’intera fantascienza e della letteratura fantastica in generale: romanzo corale, narra la storia di un incredibile numero di personaggi, il cui scopo però rimane sempre quello di confluire su Paul, attore portentoso di un gioco in cui è pedina e re contemporaneamente.

Due parole infine sulla figura di Frank Herbert e sulla sua produzione letteraria: pur essendo legato indissolubilmente a questo ciclo (che costituisce il suo capolavoro assoluto), questo scrittore fu molto prolifico e ci ha lasciato una serie di opere di importanza non trascurabile.

Nato a Tacoma (USA) nel 1920, Herbert frequentò l’università a Seattle, nello Stato di Washington. Dopo aver lavorato per vari anni come reporter e redattore in alcuni giornali della West Coast, decise di dedicarsi alla scrittura a tempo pieno.

Il suo esordio come autore di fantascienza avvenne nel 1952, ma il suo primo romanzo risale al 1955: si tratta di un thriller psicologico di una certa levatura, ambientato in un sommergibile nucleare di un futuro distopico non troppo lontano. The Dragon in the Sea, apparso sulla rivista Astounding come Under Pressure nel 1953 e in volume l’anno successivo, dimostra chiari segni di una buona capacità narrativa.

Lodato dalla critica e abbastanza apprezzato dal pubblico, questo avvincente thriller non lascia tuttavia presagire la splendida evoluzione di Herbert da giovane e acerbo narratore a scrittore vero, di grande caratura, che avviene qualche anno più tardi. Nel 1963/64, appare infatti a puntate, su Astounding Analog, Dune World, che costituirà la prima parte di Dune, e sarà seguito nel 1965 da The Prophet of Dune. Nel 1966 le due parti saranno amalgamate nell’opera completa, che andrà a vincere i due maggiori premi fantascientifici dell’epoca, lo Hugo e il Nebula.

Il successo di questo romanzo, enorme e forse inaspettato, spingerà Herbert a ritornare più volte a questa serie e ai suoi personaggi, approfondendone aspetti sociali, filosofici e religiosi con un’accuratezza che è difficile riscontrare in altri cicli e in altri autori.

Nel 1969 appare Messia di Dune, che elabora gli aspetti machiavellici degli intrighi di potere che si succedono all’interno delle strutture imperiali, mentre I figli di Dune, del 1976, riesce a ricatturare gran parte della forza narrativa e dell’epopea dell’opera originale, riprendendo al contempo la tematica ricorrente dell’opus di Herbert, vale a dire l’evoluzione dell’Uomo in un essere superiore, il superuomo dai poteri divini che tante volte abbiamo visto nei grandi classici della SF, a partire da Slan di Van Vogt e Odd John di Olaf Stapledon.

In anni successivi altri romanzi appariranno nella serie, con alterne fortune e significatività, da L’imperatoreDio di Dune (1981), a Gli eretici di Dune, del 1984, per finire con La rifondazione di Dune, del 1985.

La seconda trilogia, pur non raggiungendo i livelli delle prime tre opere, rielabora come nello sviluppo dei movimenti di una grande sinfonia, il materiale iniziale, presentando approfondimenti narrativamente e intellettualmente apprezzabili delle tematiche originali.

Per quanto il ciclo di Dune abbia dominato tutto l’arco della carriera letteraria dell’autore (ricordiamo l’uscita, nel 1984, del film di David Lynch tratto dal primo romanzo, trasposizione cinematografica non priva di un certo valore estetico e immaginifico ma certamente assai difettosa e confusa), Frank Herbert continuò nel frattempo a produrre numerose altre opere, offuscate purtroppo dal successo del grande capolavoro, ma non prive di valore.

Ricordiamo soltanto Il cervello verde (1966), che pone il tema delle mutazioni genetiche nel mondo degli insetti, Creatori di paradisi (1968), sul tema dell’immortalità, La barriera di Santaroga (1968), che descrive un nuovo ordine di intelligenza artificiale evolutosi all’interno di una comunità isolata, quasi utopica (il tema del superomismo e della mutazione genetica è centrale nell’opera di Herbert), e soprattutto il notevole L’alveare di Hellstrom (1973), probabilmente il suo miglior lavoro dopo Dune.

L’alveare di Hellstrom presenta con convincenti dettagli una colonia umana costituita da persone modificate e selezionate geneticamente, e basata sulla struttura e sui princìpi degli alveari, vale a dire con funzioni e specializzazioni socialmente diversificate; in questa società l’individuo ha un valore trascurabile, mentre l’importanza fondamentale sta nella continuazione e nel funzionamento dell’entità alveare. Il romanzo mostra, con grande efficacia, le contraddizioni di una società apparentemente perfetta e utopica, ma mostruosa nelle sue conseguenze per l’individuo.

In conclusione, anche se gran parte dell’opera di Herbert non è di facile lettura, la complessità delle sue trame e la genialità delle sue idee rappresentano il prodotto di un intelletto speculativo con pochi rivali in tutta la storia della fantascienza moderna.

Sandro Pergameno

Le bellissime copertine dell'edizione 2015 di Fanucci:

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