Dune di Frank Herbert: le appendici - parte 1

In attesa dell'uscita del remake del film a firma Denis Villeneuve continua l'approfondimento di Opera Spaziale per il grande ciclo di fantascienza epica



Il primo volume, Dune del 1965, capolavoro assoluto, è una vera e propria enciclopedia utile a comprendere meglio il pianeta Arrakis




Oggi analizziamo l'Appendice I*, quella relativa alla:


ECOLOGIA DI DUNE


Al di là di un punto critico, i gradi di libertà – in uno spazio finito – diminuiscono con l’aumento del numero. Questo risulta valido sia per gli uomini nello spazio finito di un ecosistema planetario, sia per le molecole di gas in un contenitore chiuso. L’uomo si chiede che tipo di esistenza sia possibile per coloro che sopravvivono nel sistema, non quanti possano sopravvivere.
Pardot Kynes, primo Planetologo di Arrakis


Al nuovo venuto, Arrakis fa l’effetto di una terra sterile, opprimente. Lo straniero ha l’impressione
che nulla possa sopravvivere o crescere all’aperto, e che si tratti della vera terra desolata: quella che
mai è stata fertile e mai lo sarà.

Pardot Kynes, invece, vedeva il pianeta semplicemente come una macchina: una macchina tenuta
in moto dal sole. Occorreva solo ristrutturarlo, renderlo adatto agli esseri umani. Nella sua mente
balenò l’immagine di una popolazione umana in continuo movimento: i Fremen.

Che idea affascinante! Che strumento perfetto! I Fremen, una forza ecologica e geologica dal
potenziale illimitato.

Sotto molti aspetti, Pardot Kynes era anche un uomo semplice, diretto. Occorreva scavalcare le
restrizioni della nostra posizione legata agli Harkonnen? Benissimo: sposiamo una donna Fremen. E
quando ci dà un figlio, cominciamo con lui, con Liet-Kynes, e con gli altri fanciulli, dando loro
un’istruzione ecologica, creando un nuovo linguaggio che fornisca alla mente un’arma per alterare la
totalità del paesaggio, il suo clima, i limiti delle sue stagioni, e infine superare tutti i concetti di forza,
portando al livello cosciente la stupefacente idea di ordine.

– Esiste un’armonia interiore di movimento e di equilibri in ogni pianeta adatto all’uomo – diceva
Kynes. – Voi vedete in questa armonia un effetto dinamico, stabilizzatore, essenziale a tutte le forme
di vita. Il suo scopo è semplice: creare e conservare, coordinandole, alcune forme che si
diversifichino sempre più. La vita stessa migliora la capacità di un sistema chiuso di mantenere la
vita. La vita (ogni forma di vita) è al servizio della vita. Le sostanze nutritive indispensabili sono
create dalla vita, per la vita, in quantità sempre più abbondanti man mano che la diversità delle forme
di vita aumenta. L’intero paesaggio diventa vivo, in una rete sempre più fitta di rapporti e di rapporti
di rapporti.

Questo era Pardot Kynes quando faceva lezione a una classe in una caverna sietch.

Prima di queste lezioni, tuttavia, aveva dovuto convincere i Fremen. Per capire come questo sia
stato possibile, bisogna prima valutare l’incredibile tenacia e l’innocenza con cui affrontava ogni
problema. Non era ingenuo: semplicemente puntava dritto allo scopo.

Un caldo pomeriggio, egli stava esplorando l’ardente terreno di Arrakis in un veicolo monoposto,
quando fu spettatore di una scena deprecabilmente comune. Sei sicari degli Harkonnen, schermati e
armati di tutto punto, avevano sorpreso tre giovani Fremen all’aperto, dietro il Muro Scudo, non
lontano dal villaggio di Windsack. Kynes giudicò il combattimento qualcosa di irreale, quasi una
commedia, finché non si rese conto che gli Harkonnen intendevano uccidere i Fremen. Uno dei
giovani era già crollato al suolo, con un’arteria recisa, e anche due dei sicari giacevano immobili, ma
c’erano ancora quattro uomini armati contro due giovani imberbi.

Kynes non era particolarmente coraggioso: anzi, era prudente. Ma puntava sempre allo scopo. Gli
Harkonnen stavano massacrando i Fremen. Stavano distruggendo gli strumenti con i quali intendeva
trasformare il pianeta! Azionò lo scudo, si lanciò nella mischia e infilzò due degli Harkonnen con lo
stocco prima ancora che si fossero accorti che qualcuno li assaliva alle spalle. Schivò un fendente
vibratogli da un altro sicario e gli tagliò la gola. Lasciò l’ultimo dei sicari ai due ragazzi Fremen,
rivolgendo tutta la sua attenzione al giovanetto al suolo, cercando di salvargli la vita. E gliela salvò...
mentre anche il sesto Harkonnen veniva liquidato.

E ora, un bel pasticcio alla trota! I Fremen non sapevano cosa pensare di Kynes. Naturalmente
sapevano chi fosse: nessun uomo arriva su Arrakis senza che una completa documentazione su di lui
finisca nelle roccaforti dei Fremen. Lo conoscevano: era un servo dell’Imperatore.
E tuttavia, aveva ucciso tre Harkonnen!

Se si fosse trattato di adulti, avrebbero scrollato le spalle e, sia pure con un certo rammarico,
avrebbero mandato la sua ombra a raggiungere quella dei sei morti sul terreno. Ma questi Fremen
erano giovani inesperti, e sapevano soltanto che avevano contratto un fardello d’acqua con il servo
dell’Impero.

Kynes fece la comparsa due giorni dopo in un sietch che si apriva in giù verso il Passo dei Venti.
Per lui era del tutto naturale. Parlò ai Fremen dell’acqua, di dune «ancorate», di palme cariche di
datteri, di qanat che scorrevano all’aperto attraverso il deserto. Continuò a parlare, a parlare, e nel
frattempo, intorno a lui, si era accesa una disputa violentissima di cui Kynes neppure si accorse. Che
cosa fare di quel pazzo? Egli conosceva, intanto, la posizione di uno dei maggiori sietch. Che cosa
fare, dunque? E come interpretare le sue parole, che parlavano di un paradiso su Arrakis? Parole
vane, sciocche. Sa troppo. Ma ha ucciso tre Harkonnen! E il fardello d’acqua? Quando mai abbiamo
dovuto qualcosa all’Impero? Ha ucciso tre Harkonnen. Chiunque può uccidere gli Harkonnen.

Anch’io ne ho uccisi!

Ma questo suo parlare della fioritura di Arrakis?

Semplice: dov’è l’acqua per farlo?

Lui dice che è qui! E ha salvato tre dei nostri.

Ha salvato tre pazzi che hanno voluto sfidare la potenza degli Harkonnen. E ha visto i cryss!
L’ineluttabile decisione era già nota molte ore prima che venisse espressa a parole. Il tau di un
sietch dice sempre ai suoi membri ciò che va fatto, anche la necessità più brutale. Un lottatore esperto
fu inviato, con un coltello consacrato, e due Maestri d’Acqua lo seguirono per recuperare l’acqua del
corpo. Brutale necessità.

È dubbio se Kynes si sia mai reso conto dell’esistenza di questo suo carnefice. Stava parlando a un
gruppo di gente disposta intorno a lui a prudente distanza. Camminava su e giù mentre parlava,
girava in tondo gesticolando. Acqua all’aperto!, stava dicendo Kynes. Camminare all’aperto senza
indossare una tuta distillante. Attingere acqua a una pozza. Arance!

L’accoltellatore lo fronteggiò.

– Scostati – gli disse Kynes, e continuò a parlare di trappole a vento nascoste. Passò accanto al
boia, sfiorandolo. La schiena di Kynes si trovò lì, indifesa, per il colpo rituale.

Non si potrà mai sapere, oggi, cosa sia passato per la mente del presunto carnefice. Forse finì per
ascoltare le parole di Kynes, e gli credette? Chi lo sa? Ma tutti sanno quello che fece, perché è stato
scritto. Si chiamava Uliet, il Vecchio Liet. Uliet avanzò di tre passi e, deliberatamente, cadde sul suo
coltello, «eliminando» così se stesso. Suicidio. Qualcuno dice che fu Shai-hulud a spingerlo.
E poi parlate di presagi!

Da quell’istante, a Kynes bastò soltanto muovere il dito e dire: – Andate lì. – Intere tribù di Fremen
accorsero. Molti uomini e bimbi morirono, ma accorsero ugualmente.

Kynes ritornò al suo lavoro per l’Impero, come direttore delle Stazioni Sperimentali Biologiche. E
i Fremen cominciarono ad apparire tra il personale delle stazioni. I Fremen si guardarono intorno. Si
stavano infiltrando nel «sistema»: una possibilità che non avevano mai osato prendere in
considerazione. Strumenti cominciarono a scomparire nelle stazioni e ricomparvero nelle caverne
sietch: specialmente lame laser, impiegate per scavare bacini di raccolta e buche per le trappole a
vento.

L’acqua cominciò a raccogliersi nei bacini.

Fu chiaro ai Fremen che Kynes non era completamente pazzo, ma comunque abbastanza pazzo da
essere considerato santo. Divenne uno degli Umma, della fratellanza dei profeti. L’ombra di Uliet fu
elevata al Sadus, la moltitudine dei giudici celesti.

Kynes, l’onesto, ossessionante Kynes, ben sapeva che una ricerca altamente organizzata non
avrebbe cavato un ragno dal buco. Formò dei piccoli gruppi di ricerca, con un regolare interscambio
di dati (una sorta di effetto Tansley accelerato), lasciando però che ogni gruppo procedesse per la sua
strada. Si accumularono così milioni di piccoli dati. Kynes organizzò soltanto qualche esperimento
isolato e scarsamente coordinato, perché ogni gruppo potesse valutare l’effettiva portata delle sue
difficoltà.

Campioni degli strati profondi del pianeta furono estratti in tutto il bled. Furono disegnate mappe
dettagliate di quelle variazioni del tempo a lungo termine chiamate clima. Si scoprì che nell’immensa
fascia racchiusa fra i paralleli 70 nord e sud, le temperature per migliaia di anni non erano mai
oscillate al di fuori dell’intervallo tra i 254 e i 332 gradi assoluti, e che in questa fascia esistevano, in
potenza, lunghe stagioni di germinazione, con temperature varianti fra i 284 e i 302 gradi assoluti: un
autentico paradiso per le piantagioni terrestri... una volta risolto il problema dell’acqua.

E quando mai sarà risolto?, chiesero i Fremen. Quando vedremo Arrakis trasformato in un
paradiso?

E Kynes, come un maestro che insegnasse a un bambino quanto fa 2 più 2, spiegò: – Fra trecento o
cinquecento anni.

Un popolo di levatura inferiore avrebbe urlato di disperazione. Ma i Fremen avevano imparato la
pazienza a furia di frustate. Era un periodo un po’ più lungo di quanto avessero preventivato, ma tutti
erano ormai convinti che il giorno benedetto sarebbe giunto. Si avvolsero più strettamente nelle
sciarpe, e ritornarono al lavoro. Non si sa come, il disappunto aveva reso molto più concreto il
concetto di paradiso.

Il problema di Arrakis non era l’acqua, ma l’umidità. Gli animali da allevamento erano rari, quelli
domestici quasi sconosciuti. Alcuni contrabbandieri usavano il kulon, un asino del deserto
addomesticato, ma il suo costo in acqua era elevatissimo, anche quando agli animali veniva fatta
indossare una versione modificata della tuta distillante.

Kynes pensò d’installare impianti chimici di riduzione per recuperare l’acqua dall’idrogeno e
dall’ossigeno racchiusi nella roccia nativa, ma il costo dell’energia richiesta era troppo elevato. Le
calotte polari (trascurando il falso senso di sicurezza che davano ai pyon come fonti d’acqua) ne
contenevano una quantità troppo limitata per questo progetto... e lui già sospettava dove l’acqua si
trovasse effettivamente. C’era quel sensibile aumento di umidità alle medie altitudini e in certi venti.
C’era quell’indicazione di fondamentale importanza data dalla composizione dell’aria: ossigeno 23
percento, azoto 75,4 percento, anidride carbonica 0,023 percento, e tracce di altri gas.

C’era una rara pianta nativa che cresceva sopra i 2500 metri, nelle zone temperate dell’emisfero
nord. Un tubero lungo due metri che conteneva mezzo litro d’acqua. E c’erano le piante dei deserti
terrestri: le più resistenti mostravano di poter prosperare se erano piantate in depressioni rivestite di
condensatori di rugiada.

Poi Kynes scoprì il pan salato.

Il suo ornitottero, mentre volava fra due stazioni molto lontane nel bled, fu trascinato fuori rotta da
un uragano. Quando l’uragano cessò, vide il pan: una gigantesca depressione ovale che si estendeva
per circa trecento chilometri lungo l’asse maggiore, una luccicante sorpresa bianca nel deserto
sconfinato. Kynes atterrò, e saggiò la superficie del pan ripulita dalle tempeste.

Sale.

Ossia, la certezza.

Su Arrakis c’era stata acqua all’aperto, un tempo. Cominciò a riesaminare le testimonianze dei
pozzi asciutti, dove rivoli d’acqua erano comparsi dalla trivellazione e poi svaniti, per non ritornare
mai più.

Kynes mise subito al lavoro i Fremen che aveva appena addestrato come limnologi: la traccia più
importante era costituita da frammenti schiumosi trovati a volte tra le sostanze mescolate alla spezia
dopo una esplosione.

Questi erano stati attribuiti a un’immaginaria «trota della sabbia» dalle leggende Fremen. Man
mano che i fatti si accumulavano fino a divenire prove, si scoprì che esisteva veramente una creatura
che spiegava questi frammenti schiumosi, un animale che si muoveva entro le sabbie e che isolava
l’acqua in sacche fertili entro gli strati porosi più bassi, al di sotto dell’isoterma dei 280 gradi
assoluti.

Questi «ladri d’acqua» morivano a milioni durante una esplosione della spezia. Una variazione di
temperatura di cinque gradi bastava a ucciderli. I pochi sopravvissuti s’incistavano in una semi ibernazione,
e riemergevano sei anni più tardi come «piccoli» (circa tre metri di lunghezza) vermi
delle sabbie. Soltanto pochi di questi riuscivano a evitare i propri fratelli più grossi e le sacche
d’acqua prespezia, per raggiungere la maturità e diventare i giganteschi Shai-hulud. (L’acqua è
velenosa per lo Shai-hulud: i Fremen lo avevano da tempo scoperto annegando il raro «verme
smussato» dell’Erg Minore per produrre il narcotico percettivo chiamato Acqua della Vita. Il verme
smussato è una forma primitiva di Shai-hulud che raggiunge una lunghezza di circa nove metri.)
Ora si era riconosciuta la relazione circolare: dal «piccolo creatore» alla prespezia; il «piccolo
creatore» diventa lo Shai-hulud; lo Shai-hulud dissemina la spezia di cui si nutrono le minuscole
creature note come «plancton della sabbia»; il plancton della sabbia, cibo per lo Shai-hulud, cresce, si
rintana e a sua volta diviene il «piccolo creatore».

Kynes e i suoi distolsero l’attenzione da queste grandi relazioni, e si concentrarono sulla
microecologia. Prima di tutto, il clima: la superficie sabbiosa toccava spesso temperature da 344 a
350 gradi assoluti. A trenta centimetri di profondità la temperatura poteva essere perfino di 55 gradi
inferiore. E a trenta centimetri al di sopra del suolo, di 25 gradi inferiore.

Foglie o altre protezioni potevano far guadagnare altri 18 gradi. Poi, le sostanze nutritive: le sabbie
di Arrakis sono principalmente il prodotto della digestione dei vermi; la polvere (il problema
onnipresente) è prodotta dal continuo sfregamento della superficie, dalla sabbia che striscia su se
stessa. I grani più grossi si trovano sui lati delle dune non battuti dal vento.

Il lato esposto al vento è duro e compatto. Le vecchie dune sono gialle (per ossidazione), le più
recenti hanno il colore della roccia, generalmente grigio.

I lati delle vecchie dune non esposti al vento furono seminati per primi. I Fremen cominciarono
con un’erba mutante, adatta ai terreni poveri e aridi, che produceva fibre strettamente allacciate simili
a torba, così da intersecare e «solidificare» le dune privando il vento della sua arma migliore: i
granelli pronti a farsi portar via.

Alcune zone d’acclimatazione furono così sviluppate nel lontano sud, dove i guardiani degli
Harkonnen non arrivavano. L’erba mutante fu inizialmente piantata sui pendii non esposti delle dune
che si trovavano sul cammino dei venti dell’ovest. Una volta «ancorata» la faccia non esposta, l’altra
faccia della duna aumentava in altezza, e l’erba veniva man mano disseminata sulla nuova superficie.
Lunghe creste sinuose alte più di 1500 metri furono così create.

Quando queste barriere raggiunsero un’altezza sufficiente, i pendii esposti al vento furono seminati
con erba a fili larghi, molto più resistente. Ogni struttura con una base sei volte più larga dell’altezza
era così divenuta fissa.

Quindi si passò alle piante fornite di radici più lunghe. Prima di tutto le effimere (chenopodi, erba
porco, amaranti), poi «scope» (equiseti), lupino, eucalipto (della varietà adattata alle regioni nordiche
di Caladan), tamerici nani, pini marittimi; e poi le vere piante del deserto: «candelabri», saguaro e
cacti. E dov’erano in grado di crescere, introdussero salvia, cipolla, erba piuma del Gobi, alfalfa,
«bush», verbena della sabbia, primula, incenso, creosoto...

Poi rivolsero la loro attenzione all’indispensabile vita animale... creature che scavassero il
sottosuolo, per aerarlo e renderlo soffice: volpe nana, topo canguro, lepre del deserto, terrapieno delle
sabbie... e predatori, per controllarne la proliferazione: falco, gufo nano, aquila del deserto; e insetti,
per riempire le nicchie ecologiche che questi non potevano raggiungere: scorpioni, centopiedi, ragni,
vespe... e pipistrelli che a loro volta li sorvegliassero.

Infine, la prova cruciale: la palma da datteri, il cotone, i meloni, il caffè, le piante medicinali: più di
duecento tipi di piante commestibili da sperimentare e adattare.

– Quello che non capisce chi ignora l’ecologia – disse Kynes, – è che si tratta di un sistema. Un
sistema! E un sistema ha una certa stabilità fluida che può essere distrutta dal più piccolo passo falso
in una singola nicchia. Un sistema dev’essere ordinato, armonizzato da un estremo all’altro. Se
qualcosa sbarra il suo corso, l’ordine crolla. Una persona non addestrata può non rendersi conto di un
simile collasso finché non è troppo tardi. È per questo che la funzione più importante dell’ecologia è
soprattutto capire le conseguenze.

Erano forse riusciti a edificare un sistema?

Kynes e i suoi aspettavano e osservavano. I Fremen avevano capito perché Kynes avesse previsto
cinquecento anni di pazienza.

Un primo rapporto arrivò dai palmeti:

Dove le piantagioni incontrano il deserto, il plancton della sabbia è avvelenato dall’azione
combinata delle nuove forme di vita. Incompatibilità proteica. Si sta formando un’acqua velenosa che
la vita di Arrakis non accetta. Una zona desolata circonda le piantagioni, e neppure gli Shai-hulud vi
si avventurano.

Kynes visitò personalmente le piantagioni: un viaggio di venti martellatori (in palanchino, come un
ferito o una Reverenda Madre, perché Kynes non era un cavaliere delle sabbie). Esplorò la zona
desolata (la cui puzza s’innalzava al cielo) e ne ritornò con un altro dono per Arrakis.

L’aggiunta di zolfo e azoto avrebbe potuto convertire la zona in un terreno particolarmente
favorevole alle forme di vita terrestri. Le piantagioni, in tal modo, potevano avanzare a volontà!

– Questo abbrevierà l’attesa? – domandarono i Fremen.

Kynes ritornò alle sue formule planetarie. I risultati delle trappole a vento erano già abbastanza
sicuri. Si era concesso abbondanti margini di tempo, sapendo che era impossibile delimitare
esattamente i problemi ecologici.

Una certa quantità di piante doveva essere riservata all’ancoraggio delle dune,
un’altra all’alimentazione degli uomini e degli animali, un’altra, infine, doveva imprigionare l’umidità nelle
sue radici e indirizzare l’acqua nelle zone asciutte circostanti. A quell’epoca, le zone fredde del bled
erano già state circoscritte e riportate sulle carte. Esse entravano ugualmente nelle formule. Perfino
gli Shai-hulud avevano il loro posto sui grafici. Essi non dovevano assolutamente essere distrutti,
perché sarebbe venuta a mancare la ricchezza della spezia. Ma la gigantesca «fabbrica» che era il
loro apparato digestivo (con la sua enorme concentrazione di aldeidi e di acidi) era una colossale
fonte di ossigeno. Un verme di media grandezza (lungo circa 200 metri) scaricava nell’atmosfera una
quantità di ossigeno pari a quella di dieci chilometri quadri di vegetazione.

Bisognava considerare il problema rappresentato dalla Gilda. Già la quantità di spezia offerta
perché nessun satellite meteorologico (o qualsiasi altra forma di osservatorio) comparisse nel cielo di
Arrakis aveva raggiunto proporzioni enormi.

Né si potevano ignorare i Fremen. I Fremen, con le loro trappole a vento e i loro terreni delimitati
irregolarmente. I Fremen, con la loro cultura ecologica di fresca data e il loro sogno di trasformare
vaste zone di Arrakis prima in praterie e poi in foreste.

Dai grafici emerse un risultato. Kynes lo rese noto. Il 3 percento. Se fossero riusciti a ottenere che
il 3 percento delle piante verdi di Arrakis contribuisse alla formazione dei composti di carbonio,
avrebbero realizzato un ciclo autosufficiente.

– Ma in quanto tempo? – domandarono i Fremen.

– Oh... Trecento e cinquant’anni – disse Kynes.

Così, era vero quello che Kynes l’Umma aveva detto all’inizio: nessuno di coloro che erano in vita,
allora, e neppure i loro nipoti per otto generazioni, l’avrebbero visto. Ma sarebbe accaduto, un
giorno.

Il lavoro continuò: costruire, piantare, scavare, addestrare i bambini.

E poi, Kynes l’Umma morì nel crollo del bacino Plastico.

A quell’epoca suo figlio, Liet-Kynes, aveva diciannove anni: un vero Fremen e cavaliere delle
sabbie, che aveva ucciso più di cento Harkonnen.

Il contratto imperiale, che il vecchio aveva chiesto per suo figlio, gli fu trasmesso normalmente. La
rigida struttura che regolava il faufreluches funzionava perfettamente anche su Arrakis. Il figlio era
stato addestrato alla scuola del padre.

Da quel momento la via era ormai segnata e gli ecologi Fremen dovevano soltanto seguirla. A
Liet-Kynes era sufficiente osservarli e non perdere di vista gli Harkonnen... Fino al giorno in cui il
pianeta dovette subire un Eroe.


*edizione italiana, Fanucci 2014


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