Jack Williamson - La biografia

urania+mondandori

di Giuseppe Lippi - tratta da "Il sole nero", 
Urania n.1329, Mondadori


Williamson è uno dei fondatori della fantascienza moderna, quella formatasi sulle riviste americane tra le due guerre mondiali. Tuttavia, a differenza di altri scrittori attivi fin dalle origini, ha saputo costantemente rinnovarsi e la sua produzione procede pari passo con lo sviluppo e la crescita del genere.
In altre parole non siamo di fronte a un "classico" che appartiene al passato, ma a un autore che negli anni Novanta sa scrivere con una fecondità e un'inventiva tali da renderlo ancora attuale. Nato il 29 aprile 1908 a Brisbee, in Arizona, Williamson ha vissuto un'infanzia rurale in una regione degli Stati Uniti che da pochi anni aveva smesso di essere "frontiera". I suoi ricordi di questo periodo sono molto suggestivi (come all'epoca di un trasloco con tutta la famiglia su un carro da pionieri) e il lettore può trovarli nella convincente autobiografia Wonder's Child: My life in Science Fiction (1984), premiata poi con l'Hugo. Sensibile e piuttosto nervoso, si è sottoposto fin da giovane a un trattamento psicoanalitico, ma ha finito per trovare la sua autentica "cura" nell'amore per la fantascienza e nelle salde amicizie che questo ambiente gli ha permesso di stringere (con Edmond Hamilton, più tardi con Frederik Pohl).


All'inizio della carriera ha collaborato con Weird Tales e altre riviste del soprannaturale: queste storie fantastiche sono tuttora godibili, come dimostrano queste raccolte, nell'antologia del 1975 The Early Williamson e il romanzo Golden Blood (Il popolo d'oro, 1933). Molti anni dopo tornerà alla fantasy, ma in chiave più matura, con il romanzo Reign of Wizardy (L'Impero dell'oscuro, 1965, una rievocazione del mito di Teseo). Laureato con una tesi su H.G. Wells autore cui nel 1973 ha dedicato un saggio (H.G. Wells, Critic of Progress), Williamson ha insegnato per gran parte della vita letteratura inglese all'University of Eastern, nel New Mexico.

In campo fantascientifico ha esordito su "Amazing Stories" e per molti anni ha continuato a collaborare con le riviste, fornendo racconti d'avventura basati sul cosiddetto sense of wonder. In un saggio contenuto nel volume bibliografico Anatomy of Wonder: Science Fiction (1976), Ivor A. Rogers tenta una spiegazione di questa locuzione tanto elusiva quanto famosa tra gli appassionati: "Il sense of wonder, o dar senso al meraviglioso, è composto da numerosi elementi che agiscono in modo diverso sui lettori a seconda del momento. Ne sono caratteristici temi e personaggi archetipici e l'uso inconscio di vari meccanismi psicologici, specie per quel che riguarda l'evasione dalla realtà e l'appagamento dei desideri. Comuunque la si voglia definire, la fantascienza è un sottogenere della letteratura fantastica e quindi è normale aspettarsi un'ampia zona di coincidenza fra le normali fantasie di appagamento e le trame di racconti e romanzi fantascientifici." 

Nonostante questo, uno dei pochi critici che abbiano prestato una certa attenzione al problema è Robert Plank (nel suo Emotional Significance of Imaginary Beings, 1968). "Fra i temi e gli argomenti presenti in fantascienza e che richiamano fantasie comuni, ricordo innanzi tutto il desiderio sessuale represso, che fornisce ottimi spunti per colpi di scena e situazioni assortite (ciò per due ottime ragioni: primo, perchè sui vecchi pulp non si poteva esplicitamente parlare di sesso e, secondo, perchè la maggioranza dei lettori era composta da adolescenti maschi, molti dei quali abbastanza introversi da non riuscire a incanalare i propri impulsi erotici). Ciò spiega il frequente uso di immagini come quella della città sepolta, di caverne e cavità segrete della terra, ecc... Quanto alle donne che popolavano i primi racconti, vestite erano abbastanza androgine da poter passare per uomini negli angusti confini di un'astronave (ma abbastanza femmine da suscitare l'istinto di protezione maschile); svestite o semi-celate da veli diafani e reggipetti metallizati, erano un elemento fondamentale delle copertine del periodo: magari strette nella morsa di un mostro dagli occhi d'insetto o da qualche altro orrendo extraterrestre. Tutti sapevano qual che il mostro aveva in mente: l'interrogativo principale non era il 'cosa', ma il 'come'..."

"Tra le altre fantasie, quelle edipiche giocano un ruolo costante nella fantascienza: il tema comune a molti racconti è quello che potremmo riassumere con l'espressione colorita 'adesso faccio vedere a papà quanto sono forte'. Ma c'è un'altro elemento importante cui dobbiamo prestare attenzione per comprendere il sense of wonder. La fantascienza, in particolar modo dopo Wells, si è configurata essenzialmente come 'letteratura di idee', concetto che è difficile far accettare alla critica esterna al genere per il semplice fatto che tutta la letteratura, e tanto più quella importante, è sempre stata un mezzo per esprimere idee... Ciò che gli scrittori degli anni Venti fecero in America, tuttavia, è questo: usare idee scientifiche, presentandole perlopiù sotto una luce favorevole, come perno d'un intero genere narrativo. Wells e altri l'avevano già fatto, ma si trattava di scrittori isolati in una produzione letteraria che oscillava, all'inizio del secolo, tra i residui del pessimismo romantico e la disperazione del naturalismo. A partire dal secondo quarto del XX secolo, si affacciava alla scena letteraria un genere che avrebbe negato sia le vecchie istanze del romanticismo che quelle del naturalismo. Attenzione, però: le idee che producevano sense of wonder all'epoca di Gernsback erano di seconda o terza mano, e nel tempo che impiegavano a raggiungere l'edicola all'angolo sapevano già di stantio... Nel 1926 l'idea di un sole azzurro bastava di per sè a creare meraviglia; per questo erano accettate soltanto le più semplici, mentre quelle complesse venivano respinte insieme al racconto che le conteneva.

Anche Williamson si serve abbondantemente di queste immagini del desiderio e di questi primi, elementari stereotipi fortunati della fantascienza anni Venti. Che non è orientata solo verso le "idee" (senza considerare quelle che ormai facevano parte del bagaglio comune), ma piuttosto verso la rappresentazione, come in sogno, di temi inconsci. Di qui la qualità onirica di alcuni fra i suoi romanzi migliori, come il famoso ciclo delle Legioni dello spazio (1934-1939). Dalla produzione iniziale di Williamson ricordiamo The Green Girl (La ragazza Verde, 1930, che nell'invenzione di un veicolo anfibio-aereo-sottomarino ricorda la macchina di Robur, il personaggio di Verne)  infine la Legione del tempo (1938). Nella Legione dello spazio vengono narrate le peripezie di un gruppo di avventurosi del XXX secolo il cui compito è difendere il democratico sistema solare dalle invasioni di ripugnanti e riprovevoli extraterrestri. Scopo di tutti nemici dell'umanità è impadronirsi di AKKA, l'arma totale di cui si conoscono soltanto queste misteriose iniziali. Nella Legione del tempo si affaccia un tema divenuto poi fondamentale nella fantascienza, ma che qui è trattato in maniera avventurosa: siamo di fronte a due epoche storiche, due "futuri" entrambi possibili, l'uno dei quali esclude l'altro e che quindi lottano tra loro per assicurarsi l'esistenza reale.

Con gli anni lo stile e le tematiche di Williamson si sono notevolmente affinati. Nel 1940 esce uno dei suoi capolavori, Darker Than You Think (Il figlio della notte), un magistrale racconto di suspance dove il tema della licantropia viene affrontato in chiave scientifica. Nel 1949 appare The Humanoids (Gli umanoidi), celebre romanzo sull'automazione in cui una stirpe di robot perfetti, nati per servire l'uomo, lo riducono di fatto a un'impotente marionetta. Nel 1951 un ritorno d'avventura pura con i due romanzi Seetee Ship e Seetee Shock (tradotti in italiano col titolo complessivo Il millennio dell'antimateria e ispirati a un fumetto di fantascienza sceneggiato dallo stesso Williamson). 

Numerosi sono i romanzi che il nostro ha scritto in collaborazione con altri autori, a partire dal Ponte tra le stelle (Star Bridge, 1955), con James Gunn. I più celebri sono forse Le scogliere dello spazio (The Reefs of Space, 1963), Il fantasma dello spazio (Starchild, 1965) e Stella Solitaria (Rogue Star, 1969), in collaborazione con Frederik Pohl. Quest'ultima trilogia unisce lo spirito della migliore fantascienza tecnologica - non più, ormai, quella avventurosa cara al Williamson dei primordi - alla macabra analisi di una società del futuro, totale più ancora che totalitaria, nella tradizione dell'utopia negativa. In anni recenti Williamson ha pubblicato romanzi diversi come The Moon Children (I figli della Luna, 1972), scritto dopo lo sbarco lunare e che costituisce un'intelligente riflessione sulla parabola della space-opera; La figlia del fuoco (Firechild, 1988) e Missione nello spazio (1990), questi ultimi pubblicati da Mondadori. Ha anche ricominciato a collaborare con Frederik Pohl, proprio come ai vecchi tempi. Jack Williamson appartiene alla generazione di quei fortunati che hanno visto nascere la science fiction americana, hanno lavorato alla sua evoluzione e ne hanno seguito le vicende per tutto l'arco della sua durata. E' uno scrittore del Sud-Ovest rurale, regione immensa che in futuro sarebbe diventata la sede dei primi esperimenti atomici e, in un futuro ancora più lontano, avrebbe visto nascere l'industria elettronica d'avanguardia. Ai tempi di Williamson ragazzo, questo "figlio dello stupore e del meraviglioso", era impossibile immaginare sviluppi simili: ma i semi dovevano essere nell'aria se la fantascienza poteva fiorire anche in quelle zone "di frontiera". Pensate a Burroughs, Hamilton, Gallun e più tardi a Kuttner, Simak, Bradbury, Bloch: tutti scrittori dell'Ovest e del Midwest che grazie alla loro circoscritta esperienza di wonder children hanno saputo anticipare lo spettacolare sviluppo tecnologico che stava cambiando la faccia dell'America.